L’annata 2017 è partita con una sequenza di “stranezze” meteorologiche: un inverno insolitamente siccitoso e con temperature mediamente superiori alla media interrotte da sole due settimane di febbraio molto fredde e con poca neve isolatamente in Appennino.
La stagione vegetativa della vite (ed in genere di tutta la natura) è partita con dieci giorni di anticipo, seguita da un periodo di veloce sviluppo vegetativo indotto da temperature ben superiori alla media e dall’assenza di pioggia che hanno accentuato l’anticipo iniziale sino a 18 giorni rispetto alla media storica.
Purtroppo il plenilunio pasquale e le due settimane successive hanno portato drastici cali di temperatura e brinate endemiche in tutto il nord e centro Italia falcidiando germogli e ridimensionando il potenziale produttivo di molti areali.
Modestissime ed a macchia di leopardo le piogge primaverili isolate al solo mese di aprile e purtroppo spesso associate ad eventi di carattere temporalesco e grandinigeno.
Completamente assenti le piogge nei mesi successivi di maggio, giugno e luglio.
L’anomala siccità primaverile è stata aggravata dai repentini incrementi di temperatura che già nella seconda metà di giugno hanno frequentemente superato i 33°C.
L’estate è iniziata all’insegna degli anticicloni africani, solo nel 2003 così numerosi, lunghi e prolungati.
Gli anticicloni africani sono purtroppo ormai la regola delle estati del Mediterraneo, pressochè sconosciuti in Italia sino a metà degli anni ’90, allontanando i miti anticicloni delle Azzorre che sempre più spesso fanno breccia solo in autunno (il primo del 2017 è comparso in Italia a metà Ottobre).
In alcune aree del centro Italia la pioggia già all’invaiatura della vite mancava da più di 140 giorni facendo registrare notevoli abbassamenti delle falde acquifere (così basse solo nel biennio 2003-2004) e una precocissima riduzione della portata dei corsi d’acqua.
E’ ormai noto come negli ultimi quindici anni si siano concentrate le cinque annate più calde degli ultimi 130 anni (2003, 2007, 2012, 2015 e 2017); la 2017 dopo la 2003 è stata quella più calda (con ben 14 giorni di massime sopra i 40°C in tutta l’Italia Centrale).
La vite è arrivata all’invaiatura in buone condizioni fitosanitarie per una modestissima pressione di peronospora, botrite e tignoletta ed in soli alcuni casi con una discreta apprensione per l’oidio.
In tutti i comprensori viticoli, quale conseguenza della siccità e delle alte temperature, i grappoli hanno avuto un accrescimento contenuto, rimanendo spargoli e con gli acini dalla buccia robusta.
Purtroppo in molti ambienti collinari la vite ha perso molto precocemente le foglie basali ed ha azzerato l’accrescimento delle femminelle, approcciandosi alla maturazione con apparati fogliari spesso scarsi e con frequenti carenze di magnesio protrattesi sin dalla primavera.
La raccolta è partita molto presto, già nella seconda decade di agosto nel tentativo di preservare acidità e fragranze sulle uve più precoci quali merlot, chardonnay e sirah; più eterogenea la situazione del sangiovese in cui le prime raccolte sono partite già ad agosto (negli areali più precoci e freschi dove la luce ed il calore hanno velocizzato i processi di maturazione) per protrarsi sino a fine settembre laddove la (rara) fogliosità ha protetto i grappoli o più frequentemente dove si è potuto attendere una maturazione fenolica spesso sospesa dagli eccessi di calore e carenze idriche.
Impressionanti alcune valutazioni statistiche: in quasi tutti i campi i tassi di grappoli appassiti e scartati sono variati tra il 5 ed il 20%, i cali di produzione nei territori collinari del centro Italia hanno spesso superato il 35%, anticipi di raccolta mediamente di 20 giorni e rese in cantina delle uve rosse spsso inferiori al 58%.
Malgrado tutte queste preoccupanti premesse i vini ad oggi sembrano figli di una annata calda ma non estrema, con fragranze più che accettabili e tannini migliori del 2007 e del 2003, forse più simili a 2009 e 2015.
E’ stata una annata complessa da gestire in cui ha giocato a favore l’esperienza e una certa facilità di prevedere già a gennaio le carenze idriche; i vignaioli più accorti ricordandosi le similitudini con 2003 ed il 2007 hanno difeso la vite con la buona agricoltura fatta di una accurata gestione del suolo e parsimonioso rispetto degli apparati fogliari.
Interessante chiedersi se su questo risultato, tutto sommato più che buono viste le premesse, abbia contribuito maggiormente l’esperienza accumulata nelle precedenti annate calde in vigna e cantina o una pianta che avendo convissuto per tutta l’annata con caldo, secco e precocità si è saputa autoregolare con un carico di uva modesto ma in gran parte equilibrato alle poche foglie ed alle energie disponibili.